Allo stesso tempo, questo studio smorza le speranze euforiche di crescita: “il tasso di crescita dell’UE non dovrebbe oltrepassare l’1% in un avvenire prevedibile”. Se la congiuntura virasse all’aumento, gli Stati dovrebbero allora contare su tassi d’interesse nettamente più alti e dunque con interessi più elevati.
Indebitamento pubblico: l’esplosione
Di fatto, molte delle fonti attuali, parlano in favore di un aumento del debito pubblico nei paesi dell’UE (così come in USA e Giappone) ben al disopra del sostenibile. Per l’insieme della UE, la Camera di economia austriaca prediceva per il novembre 2009, sulla base delle cifre della Commissione europea, dell’Eurostat (istituto europeo di statistica) e dell’OCDE, che il debito pubblico complessivo dei 27 stati dell’UE, che nel 2008 si aggirava al 61,5% del PIL, si attesterà nel 2011 al 83,8% del PIL e anche, nella zona euro dei dodici, all’88,2%. Ora, il limite previsto dal Patto di stabilità europeo è del 60% del PIL e già si attesta in media al 78,7% negli stati dell’UE (stima per il 2009). 8 dei 12 paesi della zona euro sono già indebitati al di sopra del 60% del loro PIL. Solo Finlandia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Spagna soddisfano ancora le richieste del Patto di stabilità.
Di qui al 2011 l’indebitamento pubblico dovrebbe raggiungere l’88,2% del PIL in Gran Bretagna, l’87,6% in Francia e il 79,7% in Germania. Per i soli tre quarti del 2009 il deficit dei budget pubblici, secondo una comunicazione dell’Ufficio federale tedesco di statistiche, in data 29 dicembre 2009, si attestava ai 96,9 miliardi d’euro, contro i 79,6 dell’anno precedente per lo stesso periodo. E per il 2010 e 2011, il DIW (istituto tedesco di ricerca economica) ha predetto un aumento del debito di circa 240 miliardi d’euro (comunicato stampa del 7 gennaio).
Non è così che si che si contribuisce al bene pubblico
Tuttavia, non è certo con una crescita vertiginosa del debito che si contribuisce al bene pubblico. Al contrario: non c’è niente di buono nell’attesa. Il 24 dicembre, per esempio, il Neue Zürcher Zeitung scriveva a proposito della Francia: “il mercato del lavoro appesantisce l’atmosfera e la lotta per la separazione delle ricchezze si fa più aspra” e il 30 dicembre a proposito della Gran Bretagna: “la sterlina rischia di continuare la sua caduta”. Le cittadine e i cittadini tedeschi devono aspettarsi nel 2010 un forte aumento della disoccupazione e senza dubbio salari stagnanti per quelli che avranno ancora un lavoro.
Evidentemente la teoria secondo la quale l’aumento delle spese pubbliche favorirebbe il benessere generale, non funziona più. E’ sicuramente da dubitare che abbia mai funzionato su lunga durata. Negli anni ’30 del secolo scorso, l’acclamato “New Deal” del presidente americano Franklin D. Roosevelt, dopo un apparente successo immediato, in 5 anni non riportò il livello di disoccupazione che al 26,4%. [1] E il miracolo economico di Hitler - così come quello che ci fu negli USA alcuni anni più tardi- non era dovuto che alla vessazione di altri popoli, a detrimento della pace e sulla pelle di milioni di vittime.
Anthony C. Sutton ha fatto un’ interessante osservazione nel terzo volume della sua serie Wall Street and the rise of Hitler: “se osserviamo la vasta gamma di fatti presentati nei tre volumi della serie su Wall Street, constatiamo il regolare ritorno degli stessi nomi: Owen Young, Gerard Swope, Hjalmar Schacht, Bernard Baruch, ecc; le stesse banche internazionali: J. P. Morgan, Guaranty Trust, Chase Bank e lo stesso indirizzo newyorkese: in generale Broadway 120. Questo gruppo di banchieri internazionali ha sostenuto la rivoluzione bolscevica ed in seguito ha tratto profitto dalla nascita dell’Unione Sovietica. E’ lo stesso gruppo che ha finanziato Roosevelt e ha tratto profitto dal socialismo del New Deal. Allo stesso modo ha finanziato Hitler e, certamente, ha tratto profitto dal riarmo tedesco degli anni ’30. Mentre il grosso del capitale avrebbe dovuto normalmente fare affari con marche come la Ford Motor, la Standard Oil del New Jersey, ecc. si può osservare come queste attività si siano infiltrate nei rivolgimenti della politica, la guerra e le rivoluzioni sopraggiunte nei tre paesi di maggior importanza.” [2] Dieter Meyer, un anziano ministro tedesco, ha creato un sito internet sul debito pubblico in Germania e in UE (www.staatsverschuldung-schuldenfalle.de). Ha scritto che nel 2008: “quasi un ottavo delle entrate fiscali” è stato assorbito dagli interessi del debito. “tra il 1965 e il 2008 il totale dei nuovi indebitamenti e dei deficit nel budget totale si aggirava intorno ai 1339,9 miliardi di euro e gli interessi del debito a 1514,5 miliardi d’euro circa. […] il finanziamento dei crediti destinati ai budget pubblici è degenerato fino a non essere altro che un fine in sé inutile sul piano fiscale. Non serve più al finanziamento del budget propriamente detto, ma a quello delle spese per ammortizzare l’interesse dei propri debiti.”
E di fatti: secondo i dati diffusi dal Bund der Steuerzahler e.V. (Unione dei contribuenti) tedesco, i budget pubblici hanno versato, nel 2005, 64,2 miliardi d’euro d’interessi, 64,9 nel 2006, 66,1 nel 2007, 67,9 nel 2008, e nel 2009 si supereranno sicuramente i 70 miliardi; somme trasferite in gran parte sui conti di banche nazionali e straniere. La Bundesrepublik Deutschland Finanzagentur GmbH (Agenzia finanziaria della repubblica federale della Germania SA), competente nella ricerca di finanziamenti, ha pubblicato in un comunicato stampa del 16 dicembre 2008 i nomi dei primi dieci creditori a titolo di diversi debiti di Stato: Barclays Bank, Deutsche Bank, Merill Lynch, UBS, Morgan Stanley, The Royal Bank of Scotland, Société Générale, J.P. Morgan, Goldman Sachs et Citigroup.
Come reagiranno gli Stati?
Cosa succederà dunque se i pronostici dati all’inizio di questo articolo, a proposito dell’indebitamento pubblico si dovessero realizzare? Come reagiranno i responsabili a livello nazionale ed europeo? Un numero sempre maggiore di stati della UE dichiarerà il fallimento vedendo la propria solvenza precipitare nelle agenzie di rating, a causa dell’elevato indebitamento -cosa che in parte già avviene- trovandosi così a pagare agli investitori, interessi sempre più elevati ? Gli stati più potenti dell’UE eserciteranno, sugli stati meno forti una pressione sempre maggiore perché si pieghino agli interessi dei grandi, trasformando poco a poco l’UE in “una dittatura dei grandi e di alcuni dei suoi valletti” (Jean Asselborn) ? La UE diventerà uno strumento, in modo sempre più evidente, per la ripartizione delle ricchezze in direzione dell’alta finanza? Il pagamento degli interessi, che alimenteranno sempre di più i creditori, prenderà sempre più il posto delle normali spese degli stati? Verranno privatizzati ancora di più i servizi pubblici, diventando sempre più il profitto la sola regola, piuttosto che il bene pubblico? Oppure gli Stati dell’Unione Europea, spinti dal debito, cercheranno presto la loro salvezza nella politica inflazionistica che annienterà i mezzi?
La Neue Zürcher Zeitung ha aggiunto alla sua edizione del 5 gennaio un supplemento “L’anno finanziario 2009”. Ci si può leggere: “l’anno finanziario 2009 ha fatto la fortuna di molti investitori. Dopo le drammatiche perdite del 2008 gli andamenti non hanno praticamente smesso di aumentare a partire da marzo 2009. Anche quelli di numerose materie prime, come per esempio l’oro e il petrolio, si sono vigorosamente ripresi, e le obbligazioni sono diventate redditizie quanto le azioni. Il 22 dicembre lo Spiegel Online titolava: “Capitolazioni di fronte al mostro Monopoli. E’ lo scandalo dell’anno: le banche d’investimento, dopo aver rischiato di trascinare il mondo in un abisso finanziario, si sono rimesse a giocare al loro Monopoli fatto di miliardi. […] è un'assurdità: quelli che hanno provocato la crisi si ritrovano ora ad essere i grandi vincitori. Approfittano dei soldi delle banche nazionali che ottengono praticamente a niente”. E verso la fine dell’articolo ci vengono presentati tutti gli aspetti: “negli ultimi 10 anni i governi di Londra e Washington hanno reso la loro economia dipendente dalla finanza. E’ ormai da molto che Wall Street è parte pregnante dell’amministrazione statunitense. Londra è, dopo New York la seconda piazza finanziaria mondiale e ci tiene a rimanerlo: non bisogna dunque far agitare il mostro imponendogli obbligazioni troppo onerose”.
Adesso gridano: al ladro!
Il Handelsblatt del 5 gennaio ha pubblicato una intervista di Joachim Fels, economista della Morgan-Stanley. Fels spiega: “La Grecia non fa che darci un assaggio di quello che aspetta gli altri paesi. Dopo che tutti i governi hanno ricoperto enormi debiti e crediti di un settore privato superindebitato […] i mercati finanziari giocheranno nel 2010 la carta del fallimento degli Stati e quindi dell’inflazione. […] gli investitori esigeranno premi di rischio e d’interesse a lungo termine più elevati. Questo, a partire dal 2011, farà aumentare il costo di nuovi debiti pubblici.” Un costo che in definitiva che verrà sostenuto, con o senza inflazione, dai contribuenti. NOTE [1] Hans-Ulrich Thamer, Verführung und Gewalt, Deutschland 1933-1945, 1994, p. 470. [Ed. italiana: Il Terzo Reich - La Germania dal 1933 al 1945 - Il Mulino, 2001] [2] Altri autori si spingono ancora oltre. F. William Engdahl , scrive, per esempio nel suo libro pubblicato nel 2009, Der Untergang des Dollar-Imperiums. Die verborgene Geschichte des Geldes und die geheime Macht des Money Trusts [il declino dell’impero del dollaro. La storia nascosta dei soldi e la potenza occulta del “Money trust”]: “molto tempo prima della vittoria degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, i Rockefeller e i dirigenti delle principali industrie, banche americane avevano capito che il mercato americano era ben troppo rietretto per i loro ambiziosi progetti. Secondo questi, l’andatura dell’America doveva essere globale, perché si potesse compiere il suo destino manifesto, ovvero l’accrescimento illimitato della potenza americana. […] guardando più da vicino, se le famiglie Rockfeller, Harriman e Bush hanno largamente e con discrezione partecipato ai preparativi di guerra del terzo Reich e hanno dato un sostegno d’importanza capitale, non solamente in ragione delle loro simpatie per la filosofia di Hitler e i suoi metodi: ostacolare la classe operaia e praticare una economia sotto il comando politico. Nutrivano visuali molto più ambiziosi:non si trattava di sostenere una Germania vittoriosa ma d’avere una guerra mondiale dalla quale sarebbe nato, dopo il 1945 un “secolo americano”, o più esattamente “un secolo Rockefeller”. Bush, Rockefeller, Harriman, DuPont e Dillon hanno notevolmente contribuito a sostenere finanziamenti al terzo Reich ai suoi inizi, visto che una parte del loro grande piano geopolitico consisteva nel portare le grandi potenze europee, in particolare Germania e Russia alla distruzione reciproca. Come menzionato, uno stratega britannico parlava di lasciare che queste due potenze si annientassero e questo avrebbe aperto la via all’egemonia del “secolo americano”. Engdahl disse che con i soldi della Fondazione Rockefeller, sotto l’egida del Council of Foreign Relation (CFR) e in stretta collaborazione con l’amministrazione Roosevelt, fu creat, durante la guerra, il War&Peace Study Group, tenuto nascosto all’epoca e che produsse numerosi studi la cui ideologia ricorda molto quella tedesca nazional-socialista: “i giganti americani della banca e dell’industria dovevano conquistare nuovi mercati, più spazi, quello che il War&peace group chiamava “la grande area”. Titolo originale: "L’endettement public en Europe" Fonte: http://www.voltairenet.org Link 20.01.2010 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICOL BARBA
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