Premiato per bancarotta

Se un ingegnere difendesse una teoria che fa crollare i ponti e fa ammazzare un sacco di persone, potrebbe non essere penalmente responsabile, ma perlomeno dovrebbe essere considerato tale intellettualmente. Se poi quell’ingegnere continuasse a dispensare consigli su come costruire ponti, e magari a provare a progettarne qualcuno, si dovrebbe pensare a fare qualcosa per fermarlo, come cacciarlo dall’Albo, perseguendolo in tribunale per i suoi progetti sistematicamente erronei, fargli pagare i risarcimenti per le vittime della sua incapacità. Qualsiasi cosa, purché lui e i suoi seguaci non progettino più ponti.

In economia no. In economia al progettista folle si dà il Premio Nobel proprio mentre il ponte sta crollando. Sto ovviamente parlando di Paul Krugman, che se non è il più self-righteous dei supposti salvatori della patria tramite debiti e inflazione (la palma spetta a Brad DeLong), non è in genere carente di arroganza, e ciò spero scusi il divertito tono di questo articoletto.Il 2 Agosto del 2002, mentre io festeggiavo 23 anni, Krugman in un articolo diceva che per difendere i consumatori americani occorreva creare una bolla immobiliare per sostituire quella azionaria che era appena esplosa. Scrive:

“Consumers kept spending as the Internet bubble collapsed; they kept spending despite terrorist attacks. Taking advantage of low interest rates, they refinanced their houses and took the proceeds to the shopping malls.”

Ci si dovrebbe aspettare un responsabile “Fermiamo questa follia finché siamo in tempo”. E invece no:

“The basic point is that the recession of 2001 wasn’t a typical postwar slump, brought on when an inflation-fighting Fed raises interest rates and easily ended by a snapback in housing and consumer spending when the Fed brings rates back down again. This was a prewar-style recession, a morning after brought on by irrational exuberance. To fight this recession the Fed needs more than a snapback; it needs soaring household spending to offset moribund business investment. And to do that, as Paul McCulley of Pimco put it, Alan Greenspan needs to create a housing bubble to replace the Nasdaq bubble.”

Per Krugman ogni recessione ha qualcosa di “non-tipico” che richiede interventi particolari, parrebbe. In ogni caso, il dubbio è che stia scherzando: per uscire dalla crisi bisogna creare bolle, quindi teniamocela la crisi, altrimenti la bolla diventerà un buco nero.

Stava scherzando? No:

“Who, exactly, is about to start spending a lot more?”

In questa intervista del 2001 è ancora più chiaro (devo dire che forse l’intervista non è credibile, è una traduzione dal tedesco e non mi fiderei della fedeltà al testo, perché magari la fonte non è onesta: ma Krugman è sempre così):

“During phases of weak growth there are always those who say that lower interest rates will not help. They overlook the fact that low interest rates act through several channels. For instance, more housing is built, which expands the building sector. You must ask the opposite question: why in the world shouldn’t you lower interest rates? In Europe, growth stagnates, prices fall – everything suggests that part of Euroland’s economy is not active. Why shouldn’t the ECB try to stop the drift into deflation?”

E anche qui non scherza, nel 2001:

“Will the Fed cut interest rates enough? Will long-term rates fall enough to get the consumer, get the housing sector there in time? We don’t know.”

La bolla che ha fatto collassare i mercati finanziari è stata creata da Greenspan e sostenuta da Bernanke. I cheerleader intellettuali di questa follia sono state persone come Krugman, che forse dovrebbero riflettere sulle loro responsabilità invece che dare lezioni nel difendere gli interventi più irresponsabili che un policymaker possa concepire.

L’attuale crisi è un fallimento della discrezionalità e dell’interventismo monetari. Se avessimo avuto regole monetarie precise e politiche monetarie rigide, che non lasciavano adito ad aspettative di intervento, probabilmente non sarebbe successo nulla. Abbiamo bisogno di politiche monetarie e fiscali serie, al limite vere e proprie “non-politiche”, alla Mises, Friedman, Prescott: qualsiasi cosa ma non il fine tuning anticiclico degli apprendisti stregoni keynesiani.

Il fatto che più si fallisce più si ha successo dimostra che la politica, come processo di selezione delle scelte collettive, non funziona per niente. L’economia è una cosa troppo seria per lasciarla ai politici. E anche a certi economisti.

FONTE.

PS Mi aspetto una miriade di citazioni semanticamente identiche da molti altri economisti, come Stiglitz. Se qualcuno ha link, potrebbe esserci di che divertirsi.

http://www.chicago-blog.it/

Nessun commento: