Pubblicato da Debora Billi alle 10:21 in Current Affairs, Peak Oil
Guardate questa immagine, gentilmente offertaci dall'ottimo Beppe Caravita. Rappresenta (cliccate per ingrandire) la massima profondità sottomarina raggiunta dalle piattaforme offshore negli ultimi 15 anni. 15 anni appena!
Nel 1994, la profondità a cui si trivellava era inferiore ai mille metri; oggi, si sono raggiunti i tre chilometri. Tre chilometri di mare prima di raggiungere la roccia da perforare, e poi chissà quante altre migliaia di metri per il giacimento.
Questa immagine parla chiarissimo, anzi direi che strilla. Cosa ci dice? Che la tecnologia fa passi da gigante e che siamo davvero ganzi? Niente affatto. Alle compagnie petrolifere non frega un bel nulla di dimostrare ganzaggine andando a trivellari fino agli inferi; preferirebbero di gran lunga restarsene sottocosta, e operare a pochi metri, senza rischi e soprattutto con costi di gran lunga inferiori e ghiotti margini.
Quel che ci dice il grafico, è che se siamo stati costretti a triplicare la profondità in appena 15 anni significa che c'è rimasto poco da andare a cercare. Si sente spesso minimizzare il problema petrolifero sbandierando nuovi giacimenti: al largo del Brasile 100 miliardi di barili! In Artico 100 fantastiliardi! Poi scopriamo che c'è da scendere 5 chilometri, più chissà quanti di roccia e sale, e magari a temperature polari.
Il petrolio c'è, ma è il petrolio dei disperati. Quello difficile, quello da peak oil, quello per cui poi si combinano di questi irrisolvibili casini.
(Irrisolvibili davvero: le notizie di oggi sulla marea nera non sono affatto buone. Nessuno ha ancora idea di cosa fare, ma nel frattempo le compagnie coinvolte -BP, Transocean e Halliburton- stanno cominciando ad accusarsi a vicenda per l'esplosione della piattaforma. Non molto rassicurante, direi.)
http://petrolio.blogosfere.it/2010/05/marea-nera-un-grafico-che-parla-da-se.html
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