Qualche esempio di come il mondo sia cambiato mentre guardavi da un’altra parte di Joshua E. Keating, Foreign Policy
[Traduzione di Irene Campari, titolo originale "The Top 10 Stories You Missed in 2009. A few ways the world changed while you weren’t looking"]
Il passaggio a Nord-est aperto per il business
Il mitico Passaggio ad Oriente cattura ancora l’immaginazione, eppure nel settembre scorso due navi cargo tedesche hanno fatto la storia essendo le prime ad attraversarlo, per ragioni commerciali, da Est verso l’Europa, tra la Russia e l’Artico. Il ghiaccio aveva reso da sempre impossibile l’impresa, ma l’innalzamento delle temperature ha aperto la strada ed ora è come camminare su di un torta. "Non c’era pressoché ghiaccio lungo tutto il percorso" ha detto Capt. Valeriy Durov alla BBC. "Vent’anni fa, quando lavoravo nella parte orientale dell’Artico, non avrei mai immaginato una cosa del genere." Il significato di quel cambiamento dipende dalla persona alla quale si pone la domanda. Per l’industria navale dei cargo è oro, avendo così a disposizione una via per l’Oriente più breve e meno cara. Per gli ambientalisti significa invece l’aver raggiunto un punto molto pericoloso nel cambiamento climatico. Gli scienziati sostengono che durante il periodo estivo aumenterà la superficie libera dai ghiacci, con tutte le conseguenze negative per le specie animali e vegetali locali e per tutte le aree costiere del mondo. Per la geopolitica internazionale rappresenta, invece, un territorio di conquista. La Russia ha letteralmente piantato la propria bandiera nel ghiaccio artico provocando la costernazione degli altri paesi nordici: la posta in gioco è infatti l’accesso a immense risorse naturali. Data la melma in cui si sta trasformando l’Artico, anche il pacifico Canada sta traccheggiando con gli “war games” in attesa di possibile confronti militari.
Iraq
Con i media internazionali e le chat di tutto il mondo concentrati su Kabul, nessuno si occupa più di come vanno le cose a Baghdad. E non è bello; se, infatti, la violenza generalizzata si sta esaurendo, il conflitto è tutt’altro che finito. A causa di continui attacchi nelle maggiori città, nel paese ci sono 2,7 milioni di rifugiati interni; la deprimente mancanza di una politica di riconciliazione fa sì che qualsiasi tentativo di andare al di là della situazione contingente fallisca miseramente. E, come se non bastasse, rimane sulla scena il conflitto potenzialmente più pericoloso: quello tra la popolazione araba e quella curda. L’attenzione molto limitata che questo argomento ha ottenuto finora si è focalizzata sulle pretese curde sul petrolio di Kirkuk, nonostante gli analisti sostengano che i recenti sviluppi nella vicina zona di Ninive, la provincia che circonda Mosul, potrebbero essere ancor più pericolosi. Area situata a sud del confine curdo, la sua popolazione è a maggioranza curda, e sembra del tutto intenzionata a incorporare questo territorio nel Kurdistan. Dopo l’invasione statunitense, a Ninive i curdi sono diventati politicamente dominanti, un po’ per l’indifferenza della locale popolazione sunnita, e un po’ per la presenza stabile della peshmerga, miliziani stanziati qui in previsione del passaggio al Kurdistan. La situazione è però cambiata nel gennaio 2009, quando i sunniti si sono uniti al partito nazionalista arabo al-Hadba - che propagandava la cacciata del peshmerga e la diminuzione dell’influenza curda - ottenendo così una maggioranza, seppur risicata, alle elezioni provinciali di Ninive. La Kurdish Fraternal List, il maggior partito curdo della regione, ha abbandonato il consiglio provinciale, dichiarando che sarebbe ritornato soltanto nel caso le fossero state accordate posizioni di rilievo e di comando. Mentre entrambe le parti sono impegnate nel minacciarsi reciprocamente, continuano gli attacchi violenti, e sia Iraq che Stati Uniti tendono a vedere quel conflitto come il più insidioso per la stabilità del paese. "Senza un compromesso, [Ninive] rischia di trascinare tutto il paese su di una china pericolosa" ha detto nel settembre scorso Loulouwa al-Rachid, il senior analist dell’International Crisis Group. Segno di questa tensione è anche il fatto che le truppe Usa sono ancora in Mosul nonostante il ritiro ufficiale da altre città dell’Iraq.
Hotline per Cina e India
Le "hotline" tra leader mondiali, come quella leggendaria tra Mosca-Washington, o il "red telephone" attivato dopo la crisi dei missili a Cuba, hanno il compito di prevenire ed evitare qui pro quo o difetti di comunicazione tra potenze nucleari, evitando il deflagrare di un conflitto. Cina e Stati Uniti ne hanno una. Così per India e Pakistan. Quest’anno, i leader di India e Cina si sono accordati per attivarne una tra Nuova Delhi e Pechino, esplicitando così la preoccupazione circa la possibile degenerazione di una disputa di confini in un grande conflitto dell’era multipolare.
Le due superpotenze asiatiche si contendono la regione himalayana del Tawang, un distretto indiano dell’Arunachal Pradesh, che la Cina rivendica come storicamente appartenente al Tibet, e quindi della Cina. Nel 1962, per quello i due Paesi hanno combattuto una guerra che ha fatto 2000 morti tra i soldati. Il Dalai Lama (storicamente legato all’India) ha una grande influenza su quella regione con una popolazione in maggioranza tibetana. E questo costituisce per l’India un ulteriore elemento irritante. L’area è stata fortemente militarizzata; le forze indiane hanno documentato 270 violazioni dei confini e circa 2300 casi di “controlli aggressivi ai confini” da parte della Cina nel solo 2008. Il primo ministro indiano Manmohan Singh ha visitato l’area in ottobre, protestando ufficialmente nei confronti di Pechino.
In giugno, il Times of India ha riportato la notizia che il presidente cinese Hu Jintao avrebbe indicato a Singh la necessità dell’attivazione di una hotline in modo tale che quella disputa non sfoci in altre azioni militari - tantomeno nucleari - tra i sue paesi. Benché si tratti solo di una precauzione, quella hotline è un’indicazione di come il Tawang si sia aggiunto al Kashmir come una delle aree più pericolose dell’Asia.
Una nuova bolla immobiliare?
Le speculazioni immobiliari sono state il fattore che più di ogni altro ha contato nella crisi finanziaria globale. Eppure, nonostante i milioni di fallimenti e di effetti secondari sentiti a scala mondiale, i proprietari di case americani potrebbero prestarsi a ripetere lo stesso errore.
Dopo aver vissuto la più grande depressione del mercato della storia, nel maggio scorso i prezzi delle case americane hanno ricominciato a risalire. L’indice S&P/Case-Shiller, considerato il più credibile strumento di stime del mercato immobiliare statunitense, è salito al 3.4% tra maggio e luglio, con buoni profitti in 18 delle 20 città considerate. I prezzi erano ancora del 13.3% più bassi che nel 2008, tuttavia meglio di quanto ci si attendesse. "Abbiamo toccato il fondo" ha così dichiarato un economista al New York Times. Non però così velocemente. L’economista Robert Shiller, uno dei creatori di quell’indice, interpreta, infatti, quel dato in modo allarmante piuttosto che in modo promettente. Secondo i sondaggi, infatti, molti proprietari pensano che il valore dei loro immobili potrebbe crescere enormemente negli ultimi dieci anni, e questo potrebbe creare un’ulteriore e preoccupante “bolla dell’aspettativa". “Sembra che l’estrema oscillazione dei prezzi immobiliari abbia trasformato molti americani in speculatori” ha scritto Shiller sul New York Times. La soluzione prospettata dal governo sembra - ironicamente . essere causa del problema, incoraggiando irresponsabili acquisti di case da parte di coloro che non se lo potrebbero permettere. La Federal Housing Administration, che ha sfornato quasi 2 milioni di mutui nel 2009, in giugno ha visto la percentuale dei debitori crescere di quasi l’8%, e l’agenzia bruciare la sua riserva per la perdita del credito. E’ stata formata una commissione al Congresso per indagare su quelle perdite. Anche il responsabile della Federal Reserve, Ben Bernanke, pare abbia dichiarato che il Congresso dovrebbe controllare il potenziale del credito trattabile da parte dell’organismo federale. Con i prezzi apparentemente in crescita e il governo americano che concede generosi incentivi ai proprietari, c’è il rischio che ritorni il medesimo irresponsabile comportamento speculativo che ha provocato la Grande recessione.
Il veloce esaurimento della ‘forza civile'
Nel novembre 2007, il segretario della Difesa americana Robert Gates ha tenuto un discorso, diventato famoso, alla Kansas State University in cui riconosceva che "per vincere non basta il successo militare" e che le guerre in Iraq e Afghanistan richiederebbero un ben diverso ruolo e un aumento di fondi alla U.S. Agency for International Development (USAID). In marzo, l’amministrazione Obama sembrava voler seguire quell’intendimento, almeno nella strategia afghana. Aveva infatti chiesto che venisse aumentato il personale dell’USAID nelle truppe in Afghanistan. "La cosa che sicuramente non possiamo pensare è che in Afghanistan sia sufficiente l’azione militare per risolvere i nostri problemi", ha detto Obama a 60 Minutes, facendo eco alla retorica di Gates. Solo un mese dopo, l’amministrazione ha dovuto chiedere a Gates di individuare 300 militari per adempiere ad alcuni compiti in Afghanistan che sarebbero stati adeguati per esperti civili; ma gli esperti civili non si sono trovati. Il sottosegretario alla Difesa Michèle Flournoy ha poi ammesso che il governo stava bleffando visto che per anni non aveva addestrato alcun civile a quei compiti. Il Pentagono sta inoltre arrogandosi in Pakistan alcune funzioni che tradizionalmente sono del Dipartimento di Stato. E sarebbe un cambiamento senza precedenti, visto che formalmente gli Stati Uniti non hanno alcun contingente in quell’area. Con un supplemento di contributi, nel giugno scorso il Pentagono ha ottenuto di gestire temporaneamente 400 milioni di dollari destinati a migliorare la capacità di intervento in azioni civili dell’esercito pachistano. L’assistenza militare di questo tipo è però tradizionalmente compito del Dipartimento di Stato, ma Gates - e con lui il Generale David Petraeus - ha giustificato quella decisione con la mancanza nel Dipartimento di Stato di competenze necessarie. Per ora quindi il sogno di avere un corpo civile che affianchi quello militare è ancora molto lontano. Come ha buttato lì Anthony Cordesman, consigliere militare per l’Afghanistan "Dovremmo smettere di parlare di “potere intelligente” come se noi ce l’avessimo".
L’asse Pechino-Brasile
Nonostante la Cina abbia negli anni Novanta, non troppo segretamente, acquistato molti aerei sovietici, per gli analisti militari il problema sarebbe invece la sua ambizione navale. In marzo, il ministro cinese della Difesa Liang Guanglie ha offerto la più decisa conferma che il problema per loro è la flotta aerea. Mentre conferiva con il collega giapponese ha detto: "Noi dobbiamo sviluppare una flotta aerea". Il Pentagono pensa che il People's Liberation Army Navy (PLAN) potrebbe avere entro il decennio numerosi mezzi aerei, con costi per la costruzione di parecchi miliardi. Con una scarsissima esperienza nella costruzione di aerei, la Cina dovrà quindi dotarsi in tempi brevi di navigatori e piloti e trovare un aereo pronto su cui salire. Il problema è che solo quattro paesi sono attualmente in grado di costruire aerei pronti all’uso. Tuttavia, gli Usa hanno scarso interesse ad aiutare il versante militare cinese, la Francia non può farlo essendoci un embargo europeo che lo impedisce, e la Russia si è fatta più cauta circa la cooperazione militare con il suo potente vicino. Rimane il Brasile, felice invece di aver ospitato funzionari del PLAN sul suo São Paulo, un vecchio arnese di 52 anni acquistato dalla Francia nel 2000. Nelson Jobim, ministro della Difesa del Brasile, ha rivelato nel maggio scorso il programma su di un sito web. E benché non si conoscano i dettagli dell’accordo, è noto che i cinesi si accolleranno i costi del restauro del São Paulo in cambio di un sostanzioso programma di training. Inoltre, un sito cinese ha riportato l’indiscrezione secondo la quale la Cina potrebbe aiutare il Brasile a costruire sottomarini nucleari. Del resto Jobim stesso ha dichiarato di sperare in una cooperazione militare, e non, tra i due paesi.
Gli Usa sono la più grande potenza navale nel sud est asiatico, ma la flotta cinese è in costante aumento e non vede sempre di buon occhio le provocazioni lanciate dalla flotta statunitense che spesso varca le sue acque territoriali. Con la Cina e l’India che intraprendono massicci programmi militari (gli indiani stanno lavorando ad un piano per riciclare un modello di aereo russo) la supremazia navale degli Stati Uniti potrebbe sfumare via. La U.S. Navy sostiene che la flotta aerea cinese non influenzerà più di tanto l’equilibrio militare nella regione, ma quest’anno il rapporto annuale del Pentagono allerta circa le capacità militari della Cina che potrebbero incrementare in seguito alla modernizzazione del paese.
Uomo morto con passaporto
Dal 2007, il Dipartimento di Stato americano sta distribuendo gli "e-passports," che contengono un chip con i dati biometrici del titolare. Sfortunatamente, stando ad un rapporto pubblicato a marzo del Government Accountability Office (GAO), non sarebbe poi così difficile falsificarli anche da parte di non esperti. Un investigatore del GAO ha provato a richiederne quattro usando nomi inventati e documenti falsi. In un caso, ha usato il codice della Social Security di un uomo morto nel 1965. In un altro, quello generato per un precedente caso investigativo e riferito ad un inesistente bambino di 5 anni ma con un Id che ne indicava 53 di anni. L’investigatore ha poi utilizzato uno di quei e-passport per comprare un biglietto aereo, ottenere la carta di imbarco e superare il checkpoint di uno dei maggiori aeroporti americani. Quando il Gao ha presentato i risultati della sua indagine, il Dipartimento di Stato ha convenuto sulla vulnerabilità del sistema e sulla necessità di fare ulteriori approfondimenti. Più di 70 paesi hanno adottato il passaporto biometrico, che molti funzionari descrivono come una rivoluzione per la sicurezza relativa all’immigrazione. Tuttavia, le inchieste del Gao provano che la tecnologia più sofisticata non può garantire la sicurezza di un paese se dietro c’è una burocrazia fallace.
Gli assassini ceceni diventano globali
Il mondo è rimasto attonito di fronte all’assassinio dell’attivista cecena per i diritti umani Natalya Estemirova. I sospetti si sono subito indirizzati verso l’uomo forte del Cremlino, il ceceno Ramzan Kadyrov, spesso preso di mira nelle inchieste della Estemirova. Ma Estemirova era solo una delle voci molto critiche nei confronti di Kadyrov eliminate negli ultimi mesi. E vivere lontano dalla Cecenia non sempre significa essere al sicuro. In gennaio, l’ex guardia del corpo di Kadyrov, Umar Israilov, è morto per una disgrazia in Austria, dove si trovava per chiedere asilo. Israilov aveva presentato un esposto contro Kadyrov alla Corte europea dei diritti, accusandolo di rapimenti e di torture. In marzo, un membro della resistenza ormai esiliato, Ali Osayev, è stato ucciso ad Istanbul. Segue l’uccisione di due altri ribelli ceceni avvenuta sempre a Istambul nel 2008. Tutti e tre i delitti sono stati commessi con armi similari, secondo quanto dichiarato dalla polizia. Sempre in marzo, Sulim Yamadayev, che comandava un gruppo ribelle in concorrenza con quello di Kadyrov, è stato ucciso a Dubai. Suo fratello Ruslan, un tempo rivale di Kadyrov per la presidenza cecena, è stato ucciso a Mosca nel settembre 2008. L’Interpol ha fatto riferimento a sette cittadini russi collegati all’assassinio di Sulim, tra i quali ci sarebbe un esponente della Duma proveniente dal partito del primo ministro Vladimir Putin. E poi c’è l’ombra del conflitto nel nord del Caucaso; è lì, al momento solo congelato. Benché la tattica repressiva di Kadyrov abbia ottenuto dei risultati nella pacificazione della Cecenia e il Cremlino abbia dichiarato la fine delle ostilità nell’aprile scorso, c’è crescente paura per la politica a suon di autobombe che la repubblica islamica sta conducendo nei paesi vicini, in particolare in Ingushetia. Il suo presidente è stato gravemente ferito in un attentato nel giugno scorso.
L’America si è unita alla guerra civile in Uganda
In gennaio, Jeffrey Gettleman del New York Times ha fatto a pezzi la storiella secondo la quale l’esercito statunitense avrebbe aiutato l’esercito ugandese nell’attacco ad un gruppo spietato di ribelli, il Lord's Resistance Army (LRA), nella parte orientale del Congo. L’attacco fu eseguito miseramente , permettendo ai ribelli di scappare e uccidere, come rappresaglia, 900 civili. Era la prima volta che gli Usa partecipavano direttamente ad una azione contro la LRA, definita dagli stessi americani come un gruppo di terroristi. Il leader della LRA è un fondamentalista religioso che di nome fa Joseph Kony e che ha sottratto alle famiglie, durante dieci anni di guerriglia contro l’Uganda, decine di migliaia di bambini usati poi come guerriglieri o come schiavi del sesso. Il United States' new Africa Command (Africom) ha difeso il proprio ruolo in quella missione, dichiarando che l’attacco ugandese sarebbe avvenuto comunque e che “è troppo presto per giudicare” il supporto americano. Indipendentemente da come qualche membro del Congresso la penserà, il ruolo dell’Africom in quel conflitto potrebbe aumentare. C’è un atto pendente i cui autori sono Sens. Russ Feingold (D-Wis.) e Sam Brownback (R-Kan.) che, con un intendimento bipartisan, potrebbe impegnare gli Usa "nell’eliminazione della minaccia costituita dal Lord's Resistance Army ... tramite supporto informativo, politico, economico e militare". Nonostante siano pochi coloro i quali non si trovino d’accordo nel mandare Kony di fronte ad un tribunale - egli ha rifiutato di lasciare la giungla da quando l’International Criminal Court lo ha accusato di crimini contro l’Umanità - quell’atto impone delle domande circa il ruolo che dovrebbe avere l’Africom, che sembra ora piuttosto lontano dalle funzioni di advisor attribuitegli, e che rischia di coinvolgere gli Usa in uno dei conflitti africani più sanguinosi e complicati.
Un ROTC per le spie
Per crescere una nuova generazione di spie per una nuova generazione di minacce globali, la Cia e altre agenzie statunitensi di intelligence hanno proposto la creazione di un programma per individuare e istruire potenziali agenti con diversi background culturali ed etnici. Modellato sul Reserve Officers' Training Corps (ROTC-militare) dei college e delle università, il programma ambisce a individuare elementi della “prima - e seconda generazione di americani, che abbiano un linguaggio critico e una conoscenza culturale, e prepararli alla carriera nell’intelligence”. Un funzionario addentro a quella proposta ha detto a Walter Pincus del Washington Post che la partecipazione degli studenti a quel programma sarebbe stata mantenuta segreta per non permettere la loro identificazione da parte delle agenzie straniere. Le università possono concorrere per ottenere fondi per realizzare corsi e programmi che vengano incontro alle esigenze dell’Intelligence. La stessa ha tuttavia già erogato finanziamenti a più di 14 tra college e università per programmi inerenti la sicurezza nazionale. Il nuovo programma ha comunque obiettivi ancora più ambiziosi di quello pilota del 2004 che assicurava fondi agli studenti che decidevano di impegnarsi nello studio della criptologia. Cinque anni dopo il 9/11, la Commissione ha raccomandato alla CIA di reclutare più personale operativo bilingue: solo il 13% del personale parlerebbe una seconda lingua. Il direttore della CIA Leon Panetta ha dichiarato come gli sarebbe gradito se ogni suo analista fosse in grado di farlo. Il nuovo programma per i college è solo una parte degli sforzi della Cia per aggiornare e diversificare le taskforce di un’agenzia già dominata dagli Wasp [bianchi protestanti della East Coast , NdT]. La Cia sta alacremente reclutando anche tra le comunità arabo-americane, offrendo incentivi fino a 35.000 dollari per persone che parlano arabo, farsi e cinese.
Foreign Policy, dicembre 2009 [Traduzione di Irene Campari]
[Immagine da www.miart.net]
domenica, 03 gennaio 2010, 00:35 *** link *** inserito da irenecampari ***
http://circolopasolini.splinder.com/post/21981801/Le+dieci+storie+che+ti+sei+per
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